Trentacinque anni fa, l’allora presidente del Consiglio Giulio Andreotti dichiarava in un’intervista televisiva che l’Italia sarebbe uscita presto dalla crisi economica. Correva l’anno 1978. La situazione non sembra di molto cambiata ad oggi.
Rifletto sulla crisi, sul suo significato, mi perdo in astrazioni pindariche cercando di non precipitare nel calderone di ovvietà. Ripetere di continuo che il momento non è dei migliori, che l’economia è al collasso, di certo non predispone l’animo all’ottimismo. Il lamento è di per sé controproducente e per quanto mi riguarda anche pruriginoso.
È
nella difficoltà che brilla l’ingegno. E allora? Apriamo la mente e soprattutto
le porte di casa. Negli Stati Uniti e nel Nord Europa è ormai abitudine
radicata condividere mezzi, abitazioni o servizi. Il CouchSurfing, il servizio gratuito
di scambio di ospitalità e servizio di rete sociale, ne è un ottimo esempio. Già
nel 2009 un mio caro amico olandese offriva il proprio divano di casa a
sconosciuti ospiti (in pieno centro ad Amsterdam: mica male!) in cambio di
lezioni di cucina, pittura e lingue straniere.
In Italia il
sistema di condivisione stenta ad attecchire. Per scoprire nuovi modi di
socializzare e di risparmiare si potrebbe affittare una stanza del proprio
appartamento, oppure offrire la propria casa per organizzare un concerto, una
cena a pagamento o per scambiare abiti usati. La sharing
economy è una valida soluzione, tanto che in rete si
possono trovare siti web per creare vere e proprie community, in cui confluire domanda e offerta. Nascono così gli swap party, le feste organizzate in casa
o in locali pubblici in cui ci si può scambiare di tutto, dalle scarpe agli
abiti, agli elettrodomestici fino ai giocattoli. Un baratto rivisitato e
corretto, grazie al quale gli sprechi si riducono e al contempo il risparmio è
garantito.
Vivere
bene si può comunque, nonostante il mostro nero della crisi. In fondo CRISI è
solo un nome, ricorda Eco: "Stat rosa pristina nomine, nomina nuda tenemus"
("La rosa primigenia ormai esiste soltanto in quanto nome”). Di tutte le
cose alla fine non resta che un puro nome, un segno, un ricordo di un tempo
difficile, ma pur sempre ridefinibile.
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